Lou, Brucia Puttana!
Alberto Pérez doveva passare un'altra stramaledetta domenica. Ed era una domenica lieve come lo è una minuta e solitaria nuvoletta bianchissima a forma di vagina.
"Che cazzo faccio? Se ci fosse stata Lou non sarebbe cambiato nulla. Avrebbe dormito per smaltire la sbornia. Pensa Alberto.
Lou é nata puttana, pericolosa e follemente stronza. Una donna che ti rovina la vita, te la spacca, te la manda in frantumi.
Era folle Lou e mi aveva trascinato per i piedi sotto il diluvio di notti insonni, di letture voraci tra il suo russare rantolante e la mia paura per le sue continue menzogne e milioni di preoccupazioni per lo sfacelo che aveva messo in atto nel tempo: inseguita dalle banche, dalle finanziarie e dalle sue cattive abitudini. Io ero spaventato.
Era arrabbiata, imbalsamata in un’esistenza collerica. Si rifugiava in disturbi alimentari e alcolici che mi facevano sobbalzare. Aveva speso, compulsivamente, un’intera fortuna, quella “fortuna” che gli aveva portato la tragedia, la disgrazia di un figlio reso cerebroleso e psicotico per un incidente una mattina di giugno.
Eppure Lou, come tutti i border, aveva qualcosa che la contraddistingueva nei contrasti, nelle incoerenti contraddizioni, spesso prive di logica. Lou analizzava, senza razionalità, quello che faceva, o aveva fatto, con un metodo che ti poteva far rabbrividire oppure ritenere che avesse un fondo di verità sulla quale riflettere.
Lou non mi ha restituito nessun libro o altro che mi apparteneva perché nella sua mente fanno parte dell’arredamento e, forse, di ciò che non è mai stato.
Lou non sembrava più strana del solito. Solo in qualche occasione era lievemente più illogica, non proprio insonne per il tempo che dedicava al suo sonno letargico, ma si svegliava e andava al computer al mattino alle cinque. Poi l’ultima cena. I miei abbracci affettuosi, i teneri baci. “Se il mio affetto avesse ottenuto risultati migliori, se…” Quel dannato ultimo giorno di luglio ho sentito una schiaffone stordente colpirmi la parte destra del volto, vedere le stelle, luna e acufeni come stridule note. L’apparenza non destava sospetti. Passeggiavamo dopo cena al ristorante sulla banchina del porto tra la gente e lì, fermi, nella mia affettuosità ho avvertito tutta la sua aggressività repressa.
Chi vive in un “arcipelago” non sa del tutto quello che fa. Per questo dico che la follia è una serie di aneddoti poco divertenti. C'è pazzia e pazzia. Quella controllabile, arginabile, curabile. Una verso la quale i risultati sono scadenti, scarsi è una sindrome che, un tempo classificavano come comportamenti caratteriali. E' un fenomeno in crescita e aumentano anche gli studi, le ricerche e le comunità terapeutiche..
Una sindrome, agganciata con lo sputo al radicamento terrestre, e siccome sempre di saliva si tratta, spesso si sradica, da sindrome fa un passettino in avanti e il sole sorge a nord, la terra è piatta e il letto una rosa.
Cala il silenzio, riappare la menzogna più spudorata e la provocazione più insolente. Quello che non sai è quello che non ti appare. Varie scene, come a teatro, gli attori studiano, provano, entrano nelle parti. Partecipi alle conversazioni, ascolti moltissimo i suoi racconti taglienti, irracontabili. Ci credi. Credi che il suo vissuto, aspro, acido, di bambina, di ragazza madre, di donna sfortunata possano traumatizzare, fino a trasformarti e a “cercare quello che ero una volta.”
Lou, poco alla volta, passo dopo passo, ti modifica, ti clona. La sua volontà ipovedente non la trattiene dalle eterne provocazioni, dalla illogicità di un'azione, agita o raccontata. C'è un fine perverso in tutto questo. Anche far nascere la reazione. Lou sa costruire situazioni “al limite” e fa di tutto per innescare il detonatore. Lou, come molti altri, è una variazione sul tema.
"Vado a fare un giro, breve, sul porto, compro "Il Fatto", mi bevo un paio di caffè e me ne torno a casa.”
Pérez si vestì e uscì. Inciampò in un libro finito per terra: Lolita. Prese l'auto, si fermò da Caterina in edicola e, sempre in macchina, verso le dieci, si avviò alla ricerca di un parcheggio.
Trovò il parcheggio. E incontrò – trovò e incontrò -, dalla parte opposta, verso ponente, un vecchio socialista, ex Craxiano, D'Alemiano, Veltroniano Bersaniano, Renziano.
L'ispettore Pérez lo conosceva da una vita, come conosceva tutti i cementieri-palazzinari e gli affaristi di Regina: di ieri e di oggi.
L'obeso socialista del P.D. è assessore della nostra ridente curva, incagliata tra mari e monti.
Per Alberto Pérez la domenica è un giorno blues e allungare il braccio destro e la sua onesta mano e incontrare un palmo e dita viscide, da lottizzatore, gli creava disgusto.
"Sai Alberto, si guadagna bene, ma ti devi fare un culo così. Sempre in macchina: e a sessant'anni, anche se non guidi, i recuperi sono lenti."
La mia mente è corsa, come una scintilla, un lampo, come il figlio del vento, verso il bastone che tengo in casa. Un bel bastone raccolto in riva al mare: nodoso, comodo per colpire.
Due persone s'incontrano. Passeggiano. Alberto parla, Pino ascolta. Hanno spesso avuto contrasti, ma si stimano, in modi diversi.
Dopo qualche ora gli invio un sms. Mi risponde.
<<Ci sono individui che parlano e non fanno mai nulla e poi altri che, quando ne hai bisogno, ci sono. Ma speso nella vita dobbiamo dimostrare, a noi stessi, che valiamo. Che c'è soprattutto la nostra dignità. Persa quella non ci rimane niente.
Ecco, pensa a questo e vaffanculo.>>
E' una mattina dolce "dove tutto luccica" nel golfo di Regina. Scintilla e abbaglia il mare di luce primaverile.
Il vecchio piedipiatti si godeva i suoni del primo mattino, così poco mediterranei ormai: suoni Zen rispetto a quando era giovane.
I camalli urlavano insieme ai pescatori calabresi e alle pescivendole che compravano il primo pesce che ancora si dibatteva.
L'anarchico Pérez, nella sua stanchezza sarebbe entrato chiesa, e avrebbe acceso un cero alla Vergine Maria. Era stata una promessa.
Un signore, un uomo, ciondolante, affetto da poliomelite, teneva per mano due bambine, le nipoti. Forse le portava a giocare: sull'altalena, gli scivoli.
Sul sagrato della Chiesa un medicante stava seduto. Era un derelitto umano, con tutta una vita da raccontare.
Pérez si abbassò, gli fece una lieve carezza e gli mise cinque euro nell'incavo di una mano sudicia e lercia.
Mentre stava per entrare sentì nitidamente qualcuno sputare in cielo, ad alta voce, in dialetto: "Non dargli un cazzo che tanto se li beve. Io gli storpi e sti bastardi di zingari li brucerei tutti"
L'ispettore Alberto Pérez era fermo, immobile. Ma sapeva benissimo quello che avrebbe fatto. Ridiscese i gradini, lo fissò solo per un impercettibile istante prima di rifilargli una potentissima ginocchiata nei coglioni. Scese lentamente, con un lamento, e Pérez lo colpì con un gancio sinistro al volto. Uno due: un bastardo che urla il dolore e sputa sangue e merda.
Entrò in chiesa, fece un'offerta e accese il cero schiacciando un pulsante di un interruttore. Le candele sono finite da anni.
Si sedette nel silenzio per alcuni minuti.
La chiesa, come tutte le chiese, era vuota di carne umana. L' umanità crede al superenalotto e al gratta e vinci. Amano il Grande Fratello e cazzate degeneri e del genere. Molto meno in Dio.
E' la povertà che ci fa credere alla fortuna, caro Alfredo.
“Se devi picchiare, fallo sempre per primo. Così picchi due volte.” “Quando ci vogliono, ci vogliono.”
La sua Gloria era stato Il Battaglione San Marco, l'Impero, le concessioni militari in Cina. Un bastardo con mia madre.
“Ho pestato mio padre, per le volte che non l'ho mai fatto”. Bisbigliò L'ispettore Alberto Pérez. E ho pestato per i poveri del mondo.
Vaffanculo Pino
Alberto Pérez doveva passare un'altra stramaledetta domenica. Ed era una domenica lieve come lo è una minuta e solitaria nuvoletta bianchissima a forma di vagina.
"Che cazzo faccio? Se ci fosse stata Lou non sarebbe cambiato nulla. Avrebbe dormito per smaltire la sbornia. Pensa Alberto.
Lou é nata puttana, pericolosa e follemente stronza. Una donna che ti rovina la vita, te la spacca, te la manda in frantumi.
Era folle Lou e mi aveva trascinato per i piedi sotto il diluvio di notti insonni, di letture voraci tra il suo russare rantolante e la mia paura per le sue continue menzogne e milioni di preoccupazioni per lo sfacelo che aveva messo in atto nel tempo: inseguita dalle banche, dalle finanziarie e dalle sue cattive abitudini. Io ero spaventato.
Era arrabbiata, imbalsamata in un’esistenza collerica. Si rifugiava in disturbi alimentari e alcolici che mi facevano sobbalzare. Aveva speso, compulsivamente, un’intera fortuna, quella “fortuna” che gli aveva portato la tragedia, la disgrazia di un figlio reso cerebroleso e psicotico per un incidente una mattina di giugno.
Eppure Lou, come tutti i border, aveva qualcosa che la contraddistingueva nei contrasti, nelle incoerenti contraddizioni, spesso prive di logica. Lou analizzava, senza razionalità, quello che faceva, o aveva fatto, con un metodo che ti poteva far rabbrividire oppure ritenere che avesse un fondo di verità sulla quale riflettere.
Lou non mi ha restituito nessun libro o altro che mi apparteneva perché nella sua mente fanno parte dell’arredamento e, forse, di ciò che non è mai stato.
Lou non sembrava più strana del solito. Solo in qualche occasione era lievemente più illogica, non proprio insonne per il tempo che dedicava al suo sonno letargico, ma si svegliava e andava al computer al mattino alle cinque. Poi l’ultima cena. I miei abbracci affettuosi, i teneri baci. “Se il mio affetto avesse ottenuto risultati migliori, se…” Quel dannato ultimo giorno di luglio ho sentito una schiaffone stordente colpirmi la parte destra del volto, vedere le stelle, luna e acufeni come stridule note. L’apparenza non destava sospetti. Passeggiavamo dopo cena al ristorante sulla banchina del porto tra la gente e lì, fermi, nella mia affettuosità ho avvertito tutta la sua aggressività repressa.
Chi vive in un “arcipelago” non sa del tutto quello che fa. Per questo dico che la follia è una serie di aneddoti poco divertenti. C'è pazzia e pazzia. Quella controllabile, arginabile, curabile. Una verso la quale i risultati sono scadenti, scarsi è una sindrome che, un tempo classificavano come comportamenti caratteriali. E' un fenomeno in crescita e aumentano anche gli studi, le ricerche e le comunità terapeutiche..
Una sindrome, agganciata con lo sputo al radicamento terrestre, e siccome sempre di saliva si tratta, spesso si sradica, da sindrome fa un passettino in avanti e il sole sorge a nord, la terra è piatta e il letto una rosa.
Cala il silenzio, riappare la menzogna più spudorata e la provocazione più insolente. Quello che non sai è quello che non ti appare. Varie scene, come a teatro, gli attori studiano, provano, entrano nelle parti. Partecipi alle conversazioni, ascolti moltissimo i suoi racconti taglienti, irracontabili. Ci credi. Credi che il suo vissuto, aspro, acido, di bambina, di ragazza madre, di donna sfortunata possano traumatizzare, fino a trasformarti e a “cercare quello che ero una volta.”
Lou, poco alla volta, passo dopo passo, ti modifica, ti clona. La sua volontà ipovedente non la trattiene dalle eterne provocazioni, dalla illogicità di un'azione, agita o raccontata. C'è un fine perverso in tutto questo. Anche far nascere la reazione. Lou sa costruire situazioni “al limite” e fa di tutto per innescare il detonatore. Lou, come molti altri, è una variazione sul tema.
"Vado a fare un giro, breve, sul porto, compro "Il Fatto", mi bevo un paio di caffè e me ne torno a casa.”
Pérez si vestì e uscì. Inciampò in un libro finito per terra: Lolita. Prese l'auto, si fermò da Caterina in edicola e, sempre in macchina, verso le dieci, si avviò alla ricerca di un parcheggio.
Trovò il parcheggio. E incontrò – trovò e incontrò -, dalla parte opposta, verso ponente, un vecchio socialista, ex Craxiano, D'Alemiano, Veltroniano Bersaniano, Renziano.
L'ispettore Pérez lo conosceva da una vita, come conosceva tutti i cementieri-palazzinari e gli affaristi di Regina: di ieri e di oggi.
L'obeso socialista del P.D. è assessore della nostra ridente curva, incagliata tra mari e monti.
Per Alberto Pérez la domenica è un giorno blues e allungare il braccio destro e la sua onesta mano e incontrare un palmo e dita viscide, da lottizzatore, gli creava disgusto.
"Sai Alberto, si guadagna bene, ma ti devi fare un culo così. Sempre in macchina: e a sessant'anni, anche se non guidi, i recuperi sono lenti."
La mia mente è corsa, come una scintilla, un lampo, come il figlio del vento, verso il bastone che tengo in casa. Un bel bastone raccolto in riva al mare: nodoso, comodo per colpire.
Due persone s'incontrano. Passeggiano. Alberto parla, Pino ascolta. Hanno spesso avuto contrasti, ma si stimano, in modi diversi.
Dopo qualche ora gli invio un sms. Mi risponde.
<<Ci sono individui che parlano e non fanno mai nulla e poi altri che, quando ne hai bisogno, ci sono. Ma speso nella vita dobbiamo dimostrare, a noi stessi, che valiamo. Che c'è soprattutto la nostra dignità. Persa quella non ci rimane niente.
Ecco, pensa a questo e vaffanculo.>>
E' una mattina dolce "dove tutto luccica" nel golfo di Regina. Scintilla e abbaglia il mare di luce primaverile.
Il vecchio piedipiatti si godeva i suoni del primo mattino, così poco mediterranei ormai: suoni Zen rispetto a quando era giovane.
I camalli urlavano insieme ai pescatori calabresi e alle pescivendole che compravano il primo pesce che ancora si dibatteva.
L'anarchico Pérez, nella sua stanchezza sarebbe entrato chiesa, e avrebbe acceso un cero alla Vergine Maria. Era stata una promessa.
Un signore, un uomo, ciondolante, affetto da poliomelite, teneva per mano due bambine, le nipoti. Forse le portava a giocare: sull'altalena, gli scivoli.
Sul sagrato della Chiesa un medicante stava seduto. Era un derelitto umano, con tutta una vita da raccontare.
Pérez si abbassò, gli fece una lieve carezza e gli mise cinque euro nell'incavo di una mano sudicia e lercia.
Mentre stava per entrare sentì nitidamente qualcuno sputare in cielo, ad alta voce, in dialetto: "Non dargli un cazzo che tanto se li beve. Io gli storpi e sti bastardi di zingari li brucerei tutti"
L'ispettore Alberto Pérez era fermo, immobile. Ma sapeva benissimo quello che avrebbe fatto. Ridiscese i gradini, lo fissò solo per un impercettibile istante prima di rifilargli una potentissima ginocchiata nei coglioni. Scese lentamente, con un lamento, e Pérez lo colpì con un gancio sinistro al volto. Uno due: un bastardo che urla il dolore e sputa sangue e merda.
Entrò in chiesa, fece un'offerta e accese il cero schiacciando un pulsante di un interruttore. Le candele sono finite da anni.
Si sedette nel silenzio per alcuni minuti.
La chiesa, come tutte le chiese, era vuota di carne umana. L' umanità crede al superenalotto e al gratta e vinci. Amano il Grande Fratello e cazzate degeneri e del genere. Molto meno in Dio.
E' la povertà che ci fa credere alla fortuna, caro Alfredo.
“Se devi picchiare, fallo sempre per primo. Così picchi due volte.” “Quando ci vogliono, ci vogliono.”
La sua Gloria era stato Il Battaglione San Marco, l'Impero, le concessioni militari in Cina. Un bastardo con mia madre.
“Ho pestato mio padre, per le volte che non l'ho mai fatto”. Bisbigliò L'ispettore Alberto Pérez. E ho pestato per i poveri del mondo.
Vaffanculo Pino